Gli intervistati hanno riferito la mancanza di attenzioni da parte dei genitori, e di provare frustrazione, risentimento e rabbia nei confronti dei fratelli
Derby (Regno Unito) – Invisibili, dimenticati: così, spesso, raccontano di sentirsi i fratelli e le sorelle (sani) di bambini con gravi malattie croniche. Eppure, quando nella vita di una famiglia irrompe una malattia, l’esistenza non cambia solo per il bambino interessato e per i suoi genitori, ma anche per i cosiddetti sibling, come vengono indicati dalla letteratura medica. Catherine Tregidgo e James Elander, ricercatori dell’Università inglese di Derby, hanno voluto indagare queste dinamiche intervistando undici sibling sani (dieci femmine e un maschio), cresciuti con un fratello affetto da emofilia A grave.
I partecipanti allo studio, tutti inglesi e di età superiore ai 18 anni, sono stati reclutati tramite la Haemophilia Society UK. Le trascrizioni letterali delle singole interviste semi-strutturate sono state poi analizzate utilizzando il metodo dell’analisi interpretativa fenomenologica (IPA). Dalla ricerca, pubblicata recentemente sulla rivista Haemophilia, è emerso che i sibling possono essere colpiti duramente dalla malattia del fratello, sia dal punto di vista sociale che da quello psicologico. Tre temi, in particolare, sono risultati ricorrenti nei loro racconti.
LA MANCANZA DI ATTENZIONI DA PARTE DEI GENITORI
Gli intervistati hanno riferito una ridotta attenzione da parte dei genitori e la sensazione di essere stati lasciati in disparte: ciò li ha portati ad essere più indipendenti, a stringere relazioni più strette con altri fratelli e a sviluppare comportamenti di ricerca dell’attenzione. La convinzione di essere tagliati fuori dalla vita familiare derivava dal fatto che i partecipanti vedevano i genitori prendersi cura del fratello malato, mentre loro non erano autorizzati a farlo. Ad esempio, Jessica ha ricordato che quando suo fratello faceva le infusioni, ciò coinvolgeva entrambi i genitori: in quei momenti, nei quali percepiva la gravità della situazione, non le era permesso di essere presente.
“Voglio essere coinvolta, perché non lo sono? Voglio aiutarti, lo sai?” (Jessica)
LE EMOZIONI SOCIALI NEGATIVE
I partecipanti hanno descritto di aver interiorizzato sentimenti negativi come la frustrazione, il risentimento e la rabbia nei confronti dei loro fratelli con emofilia, iniziati durante l’infanzia e in molti casi proseguiti durante la vita adulta. Per alcuni, la frustrazione era associata al non essere in grado di aiutare i fratelli, mentre altri hanno spiegato che il loro malessere era dovuto al fatto che l’emofilia influenzava anche le loro vite, limitando o interrompendo le proprie attività o quelle familiari. Ad esempio, Jane ha riferito come lei e sua sorella sentivano entrambe di avere dei bisogni mai soddisfatti durante l’infanzia, quindi da adulte provavano ancora un certo rancore, e con il loro continuo esternare emozioni negative hanno rovinato il rapporto con l’unica persona con cui un tempo avrebbero voluto instaurarlo, creando così una profezia che si autoavvera. Un’altra donna ha descritto come i suoi genitori elogiassero eccessivamente il fratello, ignorando invece i suoi successi. A suo parere, i genitori vivevano le loro vite nonostante la malattia del fratello, e l’avevano privato della sua vera identità mettendolo su un piedistallo.
“Mio fratello è visto come il Bambino d’Oro” (Hilary)
L’ANSIA DI ESSERE PORTATORE
Nessuno dei partecipanti ha avuto figli affetti da emofilia. Quattro sibling hanno riferito di essersi sottoposti al test, scoprendo di esserne portatori, e hanno descritto quanto sia difficile l’impatto con questa rivelazione. Sophie, che ha avuto una figlia, ha raccontato come la sua conoscenza dell’emofilia la rendesse ansiosa al solo pensiero di avere un figlio maschio, e quanto in tal caso si sarebbe preoccupata per lui, avendo visto suo fratello soffrire. Un’altra partecipante, Hilary, che voleva avere figli, ha descritto come l’esperienza negativa di crescere con un fratello emofilico, oltre ad aver vissuto la costante ansia di sua madre nei confronti del fratello, l’abbia portata a evitare quest’ipotesi optando per la fecondazione in vitro con diagnosi genetica preimpianto.
“Pensiamo che, se dovessimo avere un bambino con emofilia, le nostre vite probabilmente cambierebbero” (Sophie)
Francesco Fuggetta