All’inizio non è stato facile adattarsi alla nuova routine: è come se ti buttano nel campo di calcio senza aver mai fatto la scuola
Andrea ha 18 anni e vive con la sua famiglia a Milano, dove frequenta il liceo scientifico a indirizzo sportivo. Ha due sorelle minori, Francesca di 17 anni e Roberta di 6. Roberta soffre di una patologia ultrarara chiamata displasia campomelica acampomelica “di cui non si sa quasi nulla”, precisa Andrea. Eppure quel nome che somiglia a un gioco di parole Andrea e Francesca lo hanno imparato molto presto: “Sono stati i nostri genitori a farcelo imparare a memoria per eventuali emergenze come, per esempio, dover chiamare un’ambulanza o andare d’urgenza al Pronto soccorso”.
“Roberta ha fatto dei passi da gigante nel modo di comportarsi e di interagire con i bambini e con gli adulti – racconta Andrea –. Non se lo aspettava nessuno, perché quando è tornata a casa dalla terapia intensiva si viveva alla giornata, era tutta un’incognita”. Il prossimo settembre Roberta comincerà le scuole elementari: “Da un punto di vista comportamentale andare alla scuola materna, che frequentava ogni giorno dalle 10.00 alle 13.00, l’ha aiutata molto – precisa –: ha imparato nuovi vocaboli e nuove espressioni, adattandosi agli altri e apprendendo per esperienza. Non poteva stare tutto il giorno a scuola, perché ha bisogno di assistenza continua, ma per completezza d’informazione va aggiunto che l’assistenza infermieristica è generalmente insufficiente (solo 3 ore la mattina e altre 3 il pomeriggio) e che negli ultimi mesi si è molto ridotta, fino ad arrivare alla completa assenza in alcuni momenti. E la cosa peggiore è che questo, talvolta, non ha permesso a Roberta di poter andare a scuola”.
“La nascita di Roberta ha cambiato la vita di tutti i componenti della nostra famiglia – riflette Andrea –. Personalmente mi ha fatto cambiare tanto sia in senso positivo che negativo. Grazie a lei ho potuto conoscere un mondo per me totalmente inesplorato, che mi ha fatto crescere dal punto di vista mentale, facendomi diventare più maturo. Dall’altro lato, però, una disabilità in famiglia ti causa problemi e sofferenze, è una cosa da cui non puoi sfuggire. Sotto il profilo personale mi ha fatto molto male, causandomi problemi nel relazionarmi con gli altri, a cui a volte ho nascosto questo aspetto così importante della mia vita. Temevo che potessero reagire male o prendere in giro mia sorella”. Inoltre, la patologia di Roberta tiene la famiglia in uno stato di continua allerta: “Dobbiamo stare sempre attenti a lavarci le mani e a non portare a casa malattie, perché lei ha le difese immunitarie molto basse. Insomma, questa situazione così particolare non ha influito solo rispetto al rapporto con gli estranei, perché anche in famiglia ci sono e ci sono state molte difficoltà che cerchiamo di superare. In poche parole la situazione di mia sorella mi ha tolto un po’ di spontaneità e leggerezza”.
Parlando di Roberta, però, la voce di Andrea si anima: “Di lei ammiro la forza mentale e il suo essere sempre felice, gioiosa, giocosa, contenta nonostante le sue difficoltà. Cerca di convivere con la sua disabilità, andando oltre i propri limiti. Raramente ho visto tanta forza di volontà e vitalità in altre persone”. Eppure Roberta è comunque una bambina e Andrea un fratello maggiore, che non ha ancora abbandonato l’adolescenza: “Non è che andiamo sempre d’amore e d’accordo – dice con convinzione –. È una birbante clamorosa, sono pochi quelli che lei non fa arrabbiare”. Prima che Roberta nascesse Andrea desiderava un fratellino. Aveva 12 anni all’epoca e già aveva una sorella di un anno più giovane di lui, non è strano che preferisse l’arrivo di un maschio. “Ma poi quando mi hanno detto che era femmina la cosa non mi è pesata più di tanto. E oggi posso affermare che essere il fratello di Roberta è una cosa davvero speciale”.
Quando Roberta è nata, nel maggio del 2016, non è tornata subito a casa. È andata, invece, all’ospedale Meyer di Firenze, dove è rimasta un anno in terapia intensiva. “Il primo anno è stato veramente complicato – ricorda Andrea –. Io e Francesca eravamo a Milano con il papà, mentre Roberta era al Meyer con la mamma, siamo andati a trovarle soltanto tre volte. Quei primi 12 mesi, però, sono stati terribili soprattutto per i miei genitori”. Andrea sa bene cosa la malattia di Roberta abbia voluto dire per loro, perché ha avuto modo di leggere il libro-testimonianza che suo padre Fortunato ha scritto per raccontare la storia di Roberta e della famiglia Nicoletti. Da quel libro intitolato “Nessuno è escluso. Come pensare di essere in Paradiso stando all’inferno” (LFA Publisher 2020) è nata poi anche un’omonima associazione impegnata nel campo dell’inclusione scolastica, dell’assistenza ai caregiver e del supporto ai sibling. “Alla fine ho deciso di leggere quel libro, ho trovato la forza di farlo – dice Andrea –. E ho scoperto che per un anno ci sono state nascoste molte cose e molti eventi negativi. I nostri genitori evitavano di raccontarci le cose brutte, ci raccontavano solo quelle belle, se c’erano, perché ce n’erano poche. Lo facevano per il nostro bene, come poi abbiamo letto nel libro. Per loro è stato molto drammatico, è un’esperienza che hanno vissuto in pochi”. Secondo Andrea, questa situazione “ha influito non poco sulla nostra vita scolastica e relazionale”. Ma è soprattutto sul fatto di non sapere cosa stava accadendo che pone l’accento: “Essere all’oscuro delle cose da una parte è stato un bene, ma ha avuto anche degli effetti negativi perché non sapere quello che stava succedendo a Roberta e alla tua famiglia era tosto – rimarca –. Sapevamo che c’erano alcuni problemi, ma quello che avveniva nello specifico lo abbiamo scoperto solo più tardi. È stata una prova di forza da parte dei miei genitori, anche per loro deve essere stato molto difficile nascondere le cose ai figli. Una situazione davvero molto complicata per tutti”.
Nell’età in cui si affacciavano nella complessa stagione dell’adolescenza, Andrea e Francesca sono stati lontani dalla loro mamma per circa un anno. Come già detto, lei era all’ospedale Meyer di Firenze, loro a casa a Milano col papà. “Non nego di essermi sentito trascurato in quel periodo – ammette Andrea –. Capivamo le difficoltà del momento, ma ci è mancata la figura della mamma per tanto tempo. Il papà ha fatto il possibile per tenerci uniti, proponendosi come una figura di riferimento”. Quando Roberta è tornata a casa, dopo un anno, “c’era stupore e contentezza, una miscela di emozioni positive e una sorpresa infinita perché non sapevamo quando sarebbe potuta tornare. È stata una gioia immensa, eravamo al settimo cielo, soprattutto perché il fatto che stava lì con noi ci confermava stava bene”. Ma l’arrivo a casa della piccola sovverte radicalmente le abitudini familiari. Le sue difficoltà richiedono un mucchio di accortezze e di attenzioni: per stabilizzare la scoliosi, quando è in piedi o in movimento deve indossare un corsetto, ha una tracheotomia per essere ventilata e una Peg per alimentarsi. “Sono entrate in casa dinamiche nuove e sconosciute – ricorda Andrea –. Dovevamo stare attenti a tutto, prendere ogni precauzione possibile per il suo bene. All’inizio non è stato facile adattarsi a questa nuova routine, è come se ti buttano nel campo di calcio senza aver mai fatto la scuola”.
Negli anni successivi, fortunatamente, le cose migliorano. “Da un punto di vista medico la situazione è rimasta invariata, ma sotto l’aspetto mentale, caratteriale ed emozionale Roberta ha fatto dei progressi incredibili, che vanno a colmare le difficoltà mediche”. Anche per Andrea e il resto della famiglia le cose cambiano in meglio: “Prima vivevamo una routine più intensa – spiega –. Io e mia sorella abbiamo dato una grande mano ai nostri genitori, alleggerendoli un po’ delle troppe responsabilità, facendo in modo che potessero concedersi qualche momento di svago e relax. Quanto a me stesso – puntualizza – prima era più difficile uscire con gli amici, perché la situazione era ancora tutta da metabolizzare e poi dovevamo stare troppo attenti dal punto di vista dell’igiene e delle malattie. Per fortuna sono sempre riuscito a fare le cose che mi piacciono, come giocare a calcio e uscire con gli amici”. E il futuro di Roberta? “È una domanda che la nostra famiglia non si è mai posta – ribatte deciso Andrea –. Il nostro motto è andare avanti giorno dopo giorno, senza pensare al domani”.