Anna Maria ha 63 e vive a Lugo di Ravenna. È andata da poco in pensione, dopo una carriera come impiegata presso un’azienda municipalizzata. Suo fratello Paolo, invece, di anni ne ha 57 e abita a La Spezia. Paolo è affetto dalla distrofia muscolare di Duchenne, la più frequente ma anche la più grave tra le distrofie muscolari. Nello specifico, si tratta di una malattia neuromuscolare che si manifesta nella prima infanzia attraverso problemi di deambulazione destinati, col tempo, a progredire fino alla perdita dell’autonomia. Colpisce circa 1 su 3.500 maschi, mentre le donne possono essere portatrici sane della malattia, ovvero avere una probabilità su due di trasmetterla a eventuali figli. Un elemento quest’ultimo che ha avuto un peso non irrilevante nella storia di Anna Maria e Paolo.
Sono una sibling che ha sposato un altro sibling. Oggi io e mio marito viviamo con suo fratello, mentre Paolo ha un appartamento attiguo a quello di un’altra nostra sorella
“La mia è una storia particolare”, esordisce Anna Maria. “Sono una sibling che ha sposato un altro sibling. Oggi io e mio marito viviamo con suo fratello, mentre Paolo ha un appartamento attiguo a quello di un’altra nostra sorella. Il fratello di mio marito è cieco e ha un ritardo mentale grave dovuto a un trauma da parto». Ma la particolarità della storia di Anna Maria trae origine anche dalla specificità della patologia, che interessa le donne esclusivamente come portatrici sane. “Non c’è solo il discorso di dover accettare la malattia di mio fratello”, precisa, “ma anche il rischio di poter trasmettere la distrofia ai tuoi figli. E questa consapevolezza per una donna rappresenta il primo passaggio di un lungo percorso che può anche portare alla decisione di rinunciare ai figli. Io in particolare di figli ne ho avuti due: mi sono affidata al fatto che mio fratello fosse l’unico con la distrofia muscolare di Duchenne all’interno della nostra famiglia. Il primo figlio l’ho avuto a 19 anni, il secondo molto più in là, quando ero più cosciente e, per questo, più timorosa. Fortunatamente a quei tempi erano già cominciati a comparire i primi studi sulle mutazioni genetiche ex novo, come poi è effettivamente risultato nel caso di mio fratello. Paolo ha una mutazione genetica rara, ci sono pochissime persone al mondo come lui”.
Dopo la separazione dei miei genitori, sono cominciate le difficoltà. Mia madre doveva assistere mio fratello, e così abbiamo trascorso alcuni periodi in collegio
“I sibling hanno tanti scogli da superare” prosegue Anna Maria. “Spesso le famiglie si sfasciano e i padri spariscono. Ed è quello che è accaduto a noi, perché mio padre voleva chiudere mio fratello in un istituto, ma mia madre respingeva l’idea nella maniera più assoluta. Come molti uomini, specie della sua generazione, mio padre era convinto che lui un figlio malato non poteva metterlo al mondo, quindi a un certo punto aveva posto in discussione la stessa fedeltà di mia madre. Dopo la separazione dei miei genitori, sono cominciate le difficoltà. Mia madre doveva assistere mio fratello, specie quando era ricoverato all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, così abbiamo trascorso alcuni periodi in collegio, perché lei non poteva prendersi cura di noi. Cresci in fretta quando hai un fratello disabile. Provi un senso di abbandono che non ti lascia mai, perché le attenzioni dei tuoi genitori sembrano sempre rivolte altrove. Eravamo cinque figli, di cui i primi due molto più grandi. Erano già sulla ventina quando noi eravamo ancora bambini e facevano un po’ vita a sé. Io, invece, ero la più grande del gruppo dei piccoli. Tra e mio fratello Paolo corrono sei anni e, in mezzo a noi, c’è un’altra sorella”.
Dicevamo che mio fratello non avrebbe superato i 20 anni. E allora tu cerchi di non farti coinvolgere più di tanto perché sai che quel fratello dovrai lasciarlo presto
“È stata mia madre la prima ad accorgersi che c’era qualcosa che non andava quando mio fratello aveva due mesi. Ha avuto i primi sospetti il giorno del battesimo, perché non si muoveva nella culla. Il primo impatto è stato cadere in uno stato d’ansia: percepivo la preoccupazione dei miei genitori e mi accorgevo perfettamente che qualcosa era cambiato. Poi è cominciata l’affannosa ricerca di una diagnosi. Mamma e papà non c’erano più e noi piccoli eravamo affidati alle cure di una sorella più grande. Quando è arrivata la risposta dei medici è stato molto pesante: dicevamo che mio fratello non avrebbe superato i 20 anni. E così è cominciato una specie di rapporto a termine, dove tu cerchi di non farti coinvolgere più di tanto perché sai che quel fratello dovrai lasciarlo presto”.
Paolo ha una grande forza psicologica ed è stato abituato da mia madre ad essere il più autonomo possibile. Lei lo allevato esattamente come noi, è stata sempre una donna all’avanguardia.
Da qui all’inizio di un processo di colpevolizzazione il passo è breve. “Era come se mio fratello avesse la colpa di tutto: perché se lui non fosse nato, io avrei potuto fare figli senza paura”, dice Anna Maria. “Come tutte le ragazze della mia età, da giovane immaginavo la mia vita futura con un marito e dei figli, ma poi pensavo a mio fratello e mi chiedevo chi mai avrebbe potuto sposarmi. Mi sentivo menomata, e la presenza di mio fratello acuiva la mia consapevolezza”. Anna Maria non ha però vissuto i suoi timori in solitudine. Quando Paolo è nato i fratelli maggiori erano già sulla ventina, ma gli ultimi tre erano molto uniti. “Mia sorella minore è molto legata a Paolo e oggi abita vicino a lui. Io invece ho assunto un ruolo di sostegno nella famiglia di mio marito, che è anche lui un sibling. Ciò nonostante resto sempre vicina ai miei fratelli minori. Ho una grande stima di Paolo che, pur non essendo autosufficiente e avendo bisogno del respiratore, ha comunque scelto di vivere da solo. Ha una grande forza psicologica ed è stato abituato da mia madre ad essere il più autonomo possibile. Lei lo allevato esattamente come noi, è stata sempre una donna all’avanguardia. E oggi mio fratello è una persona moralmente e psicologicamente forte, in grado di autodeterminarsi in tutto e per tutto: è iscritto alla facoltà di Psicologia, non ha un amministratore di sostegno e vive da solo con un’assistenza h24. Oltre a un assistente personale inviato dal Servizi sociali del Comune ad aiutarlo ci sono amici e volontari”.
I genitori dovrebbero lasciare più spazio agli altri figli. Se non hai la possibilità di dire la tua, come potrai un giorno aiutare tuo fratello?
“Vorrei dire che il nostro destino di sibling è quello di diventare caregiver dei nostri fratelli e sorelle”, conclude Anna Maria. “Ci piaccia o meno, è comunque un punto di arrivo. È una cosa a cui spesso non si pensa, per questo molti arrivano impreparati. Quando non ci sono più i genitori, si ritrovano una persona sconosciuta da accudire perché non conoscono realmente i loro fratelli e sorelle né le responsabilità che prendersi cura di loro comporta. Mia madre era una donna veramente lungimirante. Dopo il primo scombussolamento, ha capito che andava costruita una relazione. Io ho sempre messo bocca sulle questioni che riguardavano Paolo. Mio marito, invece, non veniva mai responsabilizzato. I suoi non glielo permettevano. I genitori dovrebbero lasciare più spazio agli altri figli. Se non hai la possibilità di dire la tua, come potrai un giorno aiutare tuo fratello?”.